Sport e lavoro sono, originariamente, due termini in antitesi. Fare qualcosa per sport significa infatti farla per puro divertimento, in contrapposizione ai doveri legati all’ambito lavorativo. Ora i due termini vengono uniti e nasce il lavoratore sportivo. È uno degli effetti, curiosi, della riforma approvata in via definitiva dal consiglio dei ministri del 26 febbraio e ora in attesa di pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale. Una riforma che punta alla professionalizzazione dello sport italiano ma che avrà effetti ancora tutti da decifrare. Attualmente infatti lo sport professionistico è limitato a quattro discipline: calcio, ciclismo, golf e basket (solo al maschile) ma non c’è dubbio che ci sono molti altri sportivi in molte altre discipline che sono di fatto dei professionisti ed è probabilmente a loro che si rivolge uno dei punti qualificanti della nuova disciplina, che consentirà loro di avere una copertura previdenziale e assicurativa. Ma la gran parte di coloro che praticano attività sportiva, attualmente inquadrati come dilettanti, non riuscirà a fare il salto per entrare nell’olimpo dei professionisti: verranno probabilmente assorbiti nel grande calderone dello sport amatoriale, che comprenderà quindi il ciclista che milita in formazioni non di primo piano (pur essendo impegnato in gare e allenamenti per gran parte del suo tempo) e i ragazzini della scuola calcio di paese. Gli sportivi amatoriali potranno essere pagati con rimborsi spese e indennità di trasferta, ma con un limite annuale di 10 mila euro, il rischio è dunque che molti degli attuali dilettanti vedano peggiorare la propria situazione, invece di migliorarla.
Non saranno molte, infatti, le società sportive in grado dal punto di vista economico di fare il grande salto nel professionismo. Anche se uno dei punti qualificanti della riforma è proprio quello della professionalizzazione dell’assetto societario, con la cancellazione di molti dei limiti oggi vigenti e la possibilità di strutture e assetti molti vicini a quelli delle società commerciali.
È quindi molto difficile prevedere quali saranno complessivamente gli effetti concreti di questa riforma, che entrerà in vigore in molti suoi aspetti a luglio del 2022. Alcuni già ipotizzano una amazonizzazione (orrendo neologismo) del settore, cioè una spinta alla professionalizzazione che però non potrà che interessare la punta dell’iceberg: pochi atleti e poche discipline inquadrati all’interno di una logica commerciale o para-commerciale e tutti gli altri che resteranno sempre più legati a una concezione dello sport come attività ludica o salutistica, gestita con i meccanismi tipici del volontariato, ma che nulla ha a che fare con l’attività lavorativa. Il rischio è che si crei uno scollamento eccessivo tra questi due mondi, amatoriale e professionistico, e che si vengano a creare muri e barriere tra l’uno e l’altro, finendo per impoverirli entrambi.