Il club è a dir poco esclusivo. E include nomi leggendari, come quelli di Sandro Damilano e Lucio Gigliotti. È il circolo degli allenatori in grado di vincere, con i propri atleti, due medaglie d’oro olimpiche. A Tokyo, in due hanno ricevuto la tessera d’iscrizione: Paolo Camossi, e Patrizio Parcesepe, entrambi, peraltro, capaci di fare doppietta nella stessa edizione. A rendere unica l’impresa del coach della marcia, l’esserci riuscito con due atleti diversi, un uomo e una donna: Massimo Stano e Antonella Palmisano, trionfatori delle rispettive gare sui 20 chilometri.
Parcesepe, come ci si riesce?
“Abbiamo tempo?”, risponde con una risata il tecnico azzurro, 55 anni, ex marciatore, da decenni perno dell’attività del tacco e punta sul litorale laziale. “No, parlando seriamente, direi che è un percorso che non può che partire da lontano. Il risultato dell’incontro tra un allenatore che ha maturato esperienze importanti, e due atleti di classe e talento fuori dall’ordinario, come Antonella e Massimo. Due tra i più forti che io abbia mai visto”.
Nel dettaglio? Momenti, scelte decisive?
“Io vedo tre passaggi fondamentali. Il primo, non direttamente connesso con i ragazzi, è il mio incontro con Elisa Rigaudo, che ho seguito nei due anni finali della carriera, tra il 2015 e il 2016. Ha avuto il merito di cambiare la mia prospettiva: dal gareggiare per fare il massimo, al gareggiare per vincere. Una rivoluzione. Poi, aggiungo il completamento dei miei studi universitari, che mi hanno permesso di dare un senso a tanti anni di esperienze in allenamento. Infine, ci metto il raduno 2019 a Tokyo, che ha permesso a tutti noi di capire che non avrebbe vinto il più forte in senso assoluto, ma quello, o quella, più forte in quel contesto e in quelle condizioni. Sapevamo che ci sarebbe stato un calo della performance valutabile intorno al 5-6%, e che quindi le gare si sarebbero risolte nel corso di una porzione ridotta della prova, direi nell’arco di 3-4 km. Sia Massimo, sia Antonella, sono stati bravi a scegliere i propri 3-4 km decisivi”.
Palmisano e Stano. Caratteri diversi, lo stesso talento.
“Antonella è una donna che vuole avere tutto sotto controllo, si fa fatica a guidarla, ma ripaga con un impegno ed una dedizione senza limiti. E quando marcia, fai davvero pace col mondo… Massimo è un meticoloso, pretende il massimo da sé e dagli altri, mentre invece, fuori dalla professione, è un giocherellone. Il nucleo comprende anche Andrea Agrusti, che io chiamo “Mister silenzio”, Marco De Luca, che ha portato tutta la sua esperienza, e Mariavittoria Becchetti, l’operaia del gruppo. Tutto ruota intorno al litorale romano, ma ci sono posti diversi per ogni esercitazione”.
Si parla soprattutto della pineta di Castelfusano, luogo ormai votato alle attività sportive di migliaia di romani.
“C’è davvero tanta gente che si muove: corsa, cammino, passeggio. È diventato un luogo molto apprezzato da chi fa attività fisica, un vero e proprio polmone per il quadrante sud della capitale.
Spero che ci asfaltino la strada, perché spesso si rischia di cadere, e che siano ripristinati i bagni: gli atleti si cambiano in macchina, prima dell’allenamento… Ma non c’è solo la pineta. Per la pista e la palestra, utilizziamo l’impianto delle Fiamme Gialle, a Castelporziano. Ho introdotto un lavoro sulle scale, e allora ci spostiamo all’Eur, sulla scalinata del Palazzo della Civiltà e del lavoro, quello che i romani chiamano il “Colosseo quadrato”. Le salite le facciamo al Torrino, mentre quando serve la sabbia… c’è Ostia, ovviamente”.
Parcesepe ha fatto nascere un polo della marcia nella capitale.
“Ma io non me la sentivo di fare l’allenatore. Mi ha quasi costretto Gabriele Di Paolo, il mio comandante della sezione atletica in Fiamme Gialle. Negli ultimi anni da atleta mi ero allenato da solo, studiando e sperimentando su di me, in un’epoca in cui ancora non era possibile utilizzare le risorse di Internet. Ho creato il primo gruppo di marciatori nella sezione giovanile (tra loro c’era Giorgio Rubino), e successivamente Sandro Damilano, altro punto di svolta, mi ha inserito nel team azzurro. Anni in cui ho potuto vivere da vicino il lavoro di campioni come Giovanni De Benedictis, Michele Didoni, Anna Rita Sidoti, Alessandro Gandellini, e in cui ho imparato molto seguendo le orme di Vittorio Visini, Antonio La Torre, Pietro Pastorini. Scrivevo tutto, ho ancora gli appunti di quegli anni”.
La marcia italiana ha infinite risorse. Atleti, ma anche tecnici.
“Vero, ma credo sia necessario ritrovare unità, passando dal confronto, e se serve, anche dallo scontro. Per poi ripartire insieme. Faccio un invito a studiare, prepararsi, e anche a capire che possono esserci strade alternative al proprio progetto tecnico: l’elasticità mentale è un fatto positivo. Io l’ho imparato durante la pandemia, e anche nel periodo più recente, quando l’infortunio di Stano aveva messo in crisi il nostro disegno. Abbiamo trovato un modo diverso di lavorare, arrivando lo stesso all’obiettivo. E su Stano, dico che dopo la pit lane di Doha, per me una squalifica, non ci siamo lamentati, ma abbiamo scelto di lavorare sulla tecnica, anche confrontandoci con gli occhi esperti di un giudice come Nicola Maggio. È servito moltissimo”.
Unità anche tra gruppi sportivi militari: Stano, Fiamme Oro, allenato da una Fiamma Gialla.
“Uniti siamo più forti, non c’è discussione, perché possiamo prendere il meglio da ciascuno. Io sono grato alle Fiamme Gialle, mi hanno permesso di realizzarmi e fare ciò che più amo. Per dirla con una battuta, credo di avere il sangue gialloverde…”.
Un allenatore che vince due ori olimpici è un allenatore arrivato?
“Non scherziamo. Nessun tecnico può mai sentirsi arrivato. Per questo spero che l’attenzione si spenga presto, almeno per quanto mi riguarda. Voglio tornare alla mia normalità”.
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